Missione livello A

La vista, man mano che i secondi passavano, si faceva meno sfocata, finchè la ciecità fu del tutto sparita. Eiji sbattè le palpebre più e più volte, mentre gli occhi lacrimavano leggermente, a causa dell'abbagliamento. In ogni caso, fu l'udito il primo dei suoi sensi ad accorgersi del pericolo imminente: i passi di due avversarie si distinguevano distintamente, provenienti da destra e da sinistra. Lo sguardo confermò ruotando prima da una parte e dall'altra. A quanto pare, la ragazza aveva intenzione di tentare un attacco diretto insieme alla copia, da entrambi i lati. Così, proilmente, credeva di metterlo alle strette. Il Jonin non si lasciò impressionare. D'altra parte, avendo dissolto lo Scudo Nero poco prima, aveva non una, ma ben due vie di fuga. Ma schivare il colpo non era l'unica possibilità. Poteva sfruttare la situazione a suo vantaggio, per colpire entrambe le nemiche - copia e originale - mentre si stavano avvicinando. Prese due kunai con cartabomba, uno per mano e, ruotando parzialmente su sè stesso, li lanciò contro le due ragazze, pronto a farli esplodere quando fossero giunti a meno di un metro di distanza.
Lo scontro, anzi, gli scontri, visto che era già il secondo che sosteneva, stavano andando per le lunghe, e il chakra consumato si faceva sentire. Per questo motivo ora aveva preferito usare due semplici armi piuttosto che una tecnica. Il petto saliva e scendava piuttosto velocemente, segno di un respiro affannoso. Che l'avversaria fosse l'ultima contro cui scontrarsi? Non poteva esserne certo. Visto com'era andata con l'altro tipo, quello dalla strana innata, forse si trattava di un assalto, mirato a stancarlo e renderlo così più vulnerabile. Beh, comunque fosse andata, non gliel'avrebbe data vinta.

Un altro attacco andato a vuoto. Le ninja aveva utilizzato entrambe un Jutsu Fuuton, e respintoi i kunai con cartebomba, deviandone la traiettoria così che esplodessero lontano. Eiji aveva sperato, o meglio aveva previsto che almeno questo colpo gli avrebbe permesso di determinare quale delle due fosse l'originale e quale la copia, ma evidentemente si era sbagliato. Con rammarico vide la detonazione a una decina di metri da lui. Non voleva usare chakra, almeno non immediatamente, per non affaticarsi troppo e tenersi pronto a ogni evenienza. D'altra parte le cose sembravano complicarsi sempre di più, nonostante lui cercasse di concludere quella faccenda il più in fretta possibile. Il dubbio - se effettivamente quella fosse l'ultima avversaria - rimaneva: i Black Thunder non erano sprovveduti, già una volta l'avevano dimostrato. "Mifune", pensò. Ecco, lo spadaccino, Jonin della Sabbia, gli aveva dato parecchio filo da torcere. E l'aveva costretto ad azioni estreme - estreme e pericolose - per sconfiggerlo. A quanto pare, anche questa volta non poteva evitare di fare lo stesso. Un'idea gli balenò in mente. "Con quello", si disse, "sicuramente ci metterei poco a sbarazzarmi di queste due. Ma sarebbe disonorevole usarlo contro un nemico così debole". Il problema, infatti, non era tanto la forza della ragazza, quanto la sua ostinazione a non morire. Perchè non si rassegnava al suo destino, perchè tutti quelli della sua organizzazione non si rassegnavano all'idea che non ce l'avrebbero mai fatta a ucciderlo?
Ebbene, avrebbe toccato con mano se si trattava di copie o meno. Senza pensarci due volte, si lanciò verso la ragazza di destra. Fece un metro, forse un metro emmezzo di corsa, dunque scomparve alla vista. L'aumento della velocità era stato tale che, escluso uno shinobi più esperto, il calcio sarebbe arrivato imprevedibile e altrettanto difficile da schivare. Infatti, nemmeno un secondo dopo, Eiji era sotto l'avversaria, con la gamba destra tesa verso la sua testa.

l colpo andò a segno. Potente, preciso. Il calcio raggiunse il mento dell'avversaria e questa, poco dopo, scomparve in una nuvola di fumo. Un po' amareggiato, Eiji poggiò la mano sinistra a terra, ruotò leggermente il busto in senso orario e poggiò le gambe a terra, tornando così in posizione di equilibrio. Accucciato, guardò intorno a sè: a sinistra e di fronte, aveva due nemiche. Rimase un po' spiazzato: significava forse che la ragazza aveva di nuovo utilizzato il Kage Bunshin no Jutsu? O che l'originale, rimasto nascosto fino a quel momento, era finalmente uscita alla scoperto per attaccarlo? Entrambe le possibilità erano valide, d'altra parte il Jonin gli aveva dato le spalle per qualche secondo. Ora, in ogni caso, il problema era lo stesso, avrebbe dovuto destreggiarsi fra due avversari. Di questo passo, lo scontro sarebbe stato ancora molto, molto lungo.
Non fece in tempo, tuttavia, a creare una strategia, che la kunoichi di fronte a lui si lanciò all'attacco. Senza estrarre un'arma, senza preparare, apparentemente, un attacco. A circa tre metri da lui, poi, compose il sigillo Tigre. Eiji non capì cosa stava succedendo, almeno non subito. Quel sigillo accese una luce nella sua mente, ma non riuscì ad afferrare completamente di cosa si trattasse. Tuttavia, poco dopo gli giunse all'orecchio un rumore sommesso, debole, un crepitio. Ad esso, si aggiunse odore brusco, di carta bruciata. La ragazza parve gonfiarsi, quindi, all'improvviso, esplose. La detonazione fu estremamente violenta e alzò una densa nube grigiastra nei dintorni.
Il Jonin di Suna, accucciato dietro lo Scudo Nero, si alzò, barcollando. Aveva attivato l'innata il prima possibile, convogliando Satetsu a formare una lastra di ferro quadrata di un metro, tuttavia non aveva potuto fare a meno di essere colpito, se pur parzialmente. Un rivolo di sangue scese dalla tempia destra. La spalla sinistra era escoriata e gli faceva male. Un'altra ferita - non grave, ma nemmeno trascurabile - era più giù, poco sotto il gomito. Si contavano poi diversi tagli disseminato per tutto il corpo.
Eiji strinse i denti, rabbioso. Non poteva tollerare un affronto simile, oltretutto da una kunoichi di così basso livello. No, se fino a quel momento si trattava di una sfida, un divertimento, ora, sì, ora era una faccenda personale.
Tese l'orecchio, come una bestia in cerca della sua preda, mentre il fumo si diradava. Il lieve ansimare della ragazza gli aveva dato una informazione - seppur imprecisa - sulla sua posizione. Appena la visuale fu libera, dunque, passò implacabilmente all'attacco. La distanza fra loro era di circa quattro, cinque metri. Il Raiton Shirorai sarebbe stato più che sufficiente, per eliminare l'avversaria. Il braccio destro scattò in avanti, e da esso si propagò un fascio di luce azzurra, intensa, diretto contro il suo petto.

La ragazza cadde a terra, priva di vita. Un fiore reciso. Eiji provò un moto di compassione, che tuttavia si spense molto in fretta. Vita e morte erano parte del mestiere di ninja, chi non lo sapeva era uno sciocco. Lasciarsi impressionare per una morte - che si trattasse di un amico, una bella ragazza o addirittura un parente - non era permesso. Non c'era spazio per certi sentimentalismi, che precludevano la lucidità mentale negli scontri. Mors tua, vita mea. Questa era l'unica regola.
Il Jonin si passò una mano sulla fronte, cercando di pulirsi dal sangue. Era tutto finito, o doveva aspettarsi altri colpi bassi, attacchi alle spalle, Kage Bunshin esplosivi? Poche volte aveva incontrato avversari così fastidiosi. La nube di fumo, che fino a poco fa lo circondava, ora era quasi totalmente sparita, trascinata via dal leggero vento del deserto. Guardò prima il cielo, azzurro, quasi accecante, poi i suoi occhi scesero verso terra, verso la sabbia.
Aveva il battito abbastanza accellerato, e così trasse un lungo e sonoro respiro. Si sarebbe volentieri seduto, tuttavia, sapeva di non poter abbassare la guardia. Non ancora almeno. Era meglio mantenere i sensi all'erta, finchè non fosse stato totalmente e completamente certo che nessuno l'avrebbe più assalito. Così, tese le orecchie, fiutò l'aria, e girò la testa, guardingo, prima a destra e poi a sinistra.
Niente, niente di niente. Forse quei due miseri shinobi erano tutto ciò di cui la Black Thunder poteva fornire. Strano, ripensando allo scontro con Mifune, ma dopo tutto non impossibile. "Beh, c'è un modo", si disse, "per accertarsene". E' vero, così facendo avrebbe utilizzato ancora chakra, ma quello era l'unico modo che gli veniva in mente per accertarsene. Dunque, Satetsu cominciò a fluire dal terreno, e si diresse verso le sue spalle. Qui, all'incirca presso le scapole, si consolidò in due ali, dalla lunghezza di due metri ciascuna. I suoi piedi, poco alla volta, persero il contatto con il terreno, finchè non rimasero totalmente sospesi nel vuoto. Libratosi in aria, Eiji raggiunse circa l'altitudine di otto metri, da cui avrebbe potuto osservare comodamente l'area circostante.
All'improvviso, una esplosione, sotto di lui, attirò la sua attenzione. Evidentemente, un nuovo nemico si era già fatto avanti. Ancora più codardo dei precedenti, aveva preferito rimanere nascosto. Ma stanarlo, ora, non sarebbe stato difficile. Difatti, bastarono pochi secondi. Eccolo, al ripato dietro una roccia, non troppo lontano. Grazie alla forza del Magnetismo, che lo teneva alzato in volo, ci volle poco tempo per essere sopra di lui.
- Bene bene... Cosa abbiamo qui? Un altro membro di quella misera organizzazione.
Come una divinità, Eiji calò dal cielo, atterrando a circa cinque metri di fronte a lui. Lo scrutò a lungo: capelli biondi, tagliati corti, quasi rasati, che accentuavano la durezza dei suoi lineamenti. Il fisico era ben sviluppato, e proilmente doveva essere più alto del Jonin. Due sacche nere legate ai fianchi erano sicuramente il tratto del suo abbigliamento più caratteristico, troppo grosse per essere semplicemente porta armi.
- Spero che tu mi faccia divertire più dei tuoi compagni. Combattere con loro è stato piuttosto noioso.
Un sorriso si era dipinto sul volto del ragazzo di Suna. Aveva ostentato sicurezza, cercando di nascondere l'affaticamento e calmare il respiro affannoso. Le ferite sul suo corpo erano evidenti, è vero, ma meglio non mostrare alcuna debolezza, per quanto possibile, al nemico. "Mi sbarazzerò di questo tipo il più in fretta possibile, costi quel che costi", pensò.

- Se vuoi il divertimento scoprirai la mia arte, la vera arte... Quella che tutti dovrebbero utilizzare...
L'avversario aveva risposto ad Eiji con altrettanta spavalderia, per poi affondare le mani nelle grosse sacche appese ai fianchi. Poco dopo, le trasse fuori, mantenendo i pugni chiusi.
- Altro che quella del vostro Villaggio della Sabbia. Arte infinita o eterna? - il nemico mostrò un'aria alquanto disgustata - Tutte parole. Quella vera è...
Si stoppò, improvvisamente. Evidentemente, si era riferito agli Akasuna, che adoravano, anzi veneravano le proprie opere, quasi che si trattasse di statue e non di armi per combattere. Nella sua vita, Eiji poteva vantarsi di aver distrutto una buona quantità di marionette, grazie alla sua Satetsu: ne bastavano pochi granelli, infatti, per bloccare totalmente gli ingranaggi in metallo, rendendole inservibili. L'ultima volta... Sì, l'ultima volta era stato a Oto, nel Covo di Orochimaru. Aveva affrontato quei due gemelli, che si erano rivelati ottimi ninja, a tal punto da creare - così avevano detto - marionette partendo da esseri umani. Ancora adesso, non aveva capito esattamente di cosa si trattasse, nè mai gli era capitato a Suna di venire a conoscenza di qualcosa di simile. In ogni caso, era meglio non lasciarsi trascinare dai ricordi e concentrarsi sul combattimento. Dunque: l'avversario si definiva un artista, ma questo non forniva particolari informazioni sulle sue abilità. Eiji non era particolarmente curioso di sapere cosa fosse in grado di fare, voleva solo vederlo steso a terra, privo di vita. All'apparenza, il nemico attuale era più vecchio ed esperto dei precedenti, quindi c'erano buone possibilità che fosse l'ultimo. Perchè trattenersi, dunque?
Prima che il Jonin di Suna potesse fare qualsiasi cosa, tuttavia, l'Artista distese il braccio destro di fronte a sè, e aprì il palmo. Su di esso, c'era una bocca, una vera e propria bocca, da cui uscirono due passeri bianchi. Questi volarono contro Eiji, ma questi era già pronto a difendersi. Le ali, disposte alle sue spalle, si scomposero in Sabbia, per poi ricompattarsi meno di due secondi dopo di fronte a lui, sotto forma di una lastra nera. I passeri si rivelarono essere esplosivi, deflagrando rumorosamente. Non prevedendo la reale forza dell'attacco - piuttosto alta, in effetti - lo scudo, quadrato e dal lato di un metro, non fu del tutto sufficiente a proteggerlo. Venne sbalzato a terra dall'onda d'urto, e sul braccio destro, che per istinto aveva messo di fronte al viso, riportò una abrasione lieve ma dolorosa.
Si rialzò, dissolvendo la lastra di ferro. Sul suo volto era dipinto un sorriso, o meglio un ghigno strano, quasi diabolico. Se fino a quel momento aveva avuto qualche dubbio sull'usare quella cosa, ora ne era profondamente e completamente certo.
- E' stato bello giocare con te, ma ora devo ucciderti.
Alla base sinistra del collo, tre tomoe nere si infiammarono, e il loro colore mutò fino al rosso. Lentamente, quasi quel segno fosse vivo, cominciò ad espandersi sulla spalla, in macchie. Scese fino al gomito, poi giù fino alla mano, circondando il Seal evocatore tenuto sotto la benda. Salì fino al volto, toccò le labbra, il naso, e infine anche gli occhi. Poco dopo, quando anche la parte destra del suo corpo era stata invasa, Eiji era ormai sotto l'influsso del Ten no Juin. Un brivido gli corse nelle vene, per poi esplodere in una lunga e intensa sensazione di potere. Rise silenziosamente. Gli pareva di essersi elevato sopra la stirpe degli uomini, di aver superato la misera condizione di essere umano e aver raggiunto qualcosa di più alto, di più perfetto. Strinse il pugno sinistro. Occhi da pazzo, terrificanti, si piantarono sul nemico.
Lo scatto in avanti fu tremendamente veloce. Ogni limite fisico era abbattuto; persino la stanchezza sembrò averlo abbandonato. I sei metri che li separavano vennero dimezzati pochi secondi, mentre la mano destra era scivolata all'impugnatura della katana e l'aveva estratta con un sibilo metallico. Eiji inclinò la lama, affinchè l'avversario potesse vedere il piatto. Il chakra passò dal braccio alla spada, e questa emanò un bagliore accecante. Gli bastava un secondo, un misero secondo di distrazione: il tempo di percorrere i restanti tre metri e mandare a segno, con un rapido movimento, un fendente parallelo al terreno, diretto all'altezza del busto. Un colpo mortale, se tutto fosse andato come previsto. Ma d'altra parte, come avrebbe potuto difendersi l'Artista?